I luoghi del Teatro Officina

Mi piace provare a fare un elenco dei luoghi, o dei “non luoghi” che ho usato per sollecitare la vostra fantasia e per stimolarvi a volare dentro queste architetture. Si tratta di luoghi di aggregazione sociale: CENTRI PER ANZIANI, CENTRI SOCIALI, SPAZI SCOLASTICI, AUDITORI, BOCCIOFILE, CHIESE SCONSACRATE, PALESTRE, CORTILI DI RINGHIERA, CORTILI DI ABITAZIONE; E POI, OVVIAMENTE, PIAZZE, ANGOLI DI STRADA, MARCIAPIEDI, MA ANCHE SLARGHI DI STRADE PERIFERICHE, E CASCINE, E PRATI… E’ CHIARO CHE FRA LE ARCHITETTURE IN CUI ABBIAMO PALPITATO C’E’ ANCHE LA VOLTA CELESTE, E NON CI SIAMO TROVATI MALE. Questi spazi sono stati protagonisti dell’evento teatrale in particolare in due periodi: il primo, tra gli anni 60 e gli anni 70, segnato dall’esperienza dei circuiti alternativi fatti da Dario Fo lungo tutta Italia; il secondo, dalla metà degli anni 70 a oggi, a Milano come Teatro Officina, a spendere la propria vita per il cosiddetto “decentramento culturale”… …

Il ’68 fu il tempo del viaggio con Dario Fo… Le nostre bandiere al vento, i nostri sogni rivoluzionari e soprattutto la nostra voglia di relazione, di confronto/scontro, di far circolare atmosfere diverse, di disinquinare le arie, dare colore e musica a questi saloni di Comitati Centrali, o di future discoteche. Nel dare vita a un piccolo spazio – un cinema, una biblioteca – vi era la voglia di animare un paese intero, di lasciare in eredità – i meno cretini di noi lo pensavano – non tanto verità rivelate, fedi apocalittiche, quanto un modo, un metodo di approccio più umano, che si intrecciasse con la vita di tutti i giorni.
Essere con gli altri e per gli altri senza enfasi, per il piacere di aiutare a dare voce a quelli che non ce l’avevano, e quindi dare una mano a valorizzare quegli spazi, rendendoli meno brutti e più accoglienti, più espressivi, perché era lì che si passava la vita, la vita di Francesco, Luisa, Mario, Andrea…

Dalla metà degli anni ’70 ad oggi, l’avventura è continuata come Teatro Officina.
Verso gli anni ’80 inizia quella sistematica distruzione di ogni tessuto associativo che ben sappiamo: si compie un lavoro di annientamento degli infiniti luoghi dell’incontro e della rappresentazione che ci lascia i non luoghi che ora abbiamo davanti, spazi ove si transita senza mai fermarsi intorno a un fulcro che sia luogo di comunione e di scambio. Si configura un paesaggio urbano nuovo: nomadi in orrendi deserti metropolitani in cui campeggiano alcune CATTEDRALI POLIVALENTI, ARENE ESTIVE INUTILIZZATE O SOTTOUTILIZZATE, CHE SOVRASTANO PICCOLI CONTENITORI, PICCOLI LUOGHI CLANDESTINI. A MILANO NE SONO STATI CATALOGATI PIU’ DI NOVECENTO: SPAZI ABBANDONATI OVE PRIMA SI FACEVA CULTURA, E SI POTREBBE TORNARE A FARLA. In questi spazi clandestini – a tutti gli effetti, anche in quelli umiliati dalle licenze di agibilità – qualche pazzo ha tentato di tenere in piedi una memoria storica che non rientra più negli interessi individuali e collettivi della nostra città e più probabilmente in tutto il nostro mondo occidentale. Noi, abbandonati da tutti tranne che da quelli che ci abitavano, abbiamo attraversato con gioiosa fatica questi luoghi fermandoci in un tempo libero che non è affatto un tempo liberato, ma solo un tempo svuotato, pieno per lo più di ansie e solitudini.

Non so da dove ricominciare per ri-creare un corpo sociale che sia comunità e non solitudini, però mi resta negli occhi l’immagine, che vi consegno, di uno straordinario vecchio: si chiama Antonio Bozzetti. Davanti alla cattedrale nel deserto della Barona, seduto su una sedia, narra alla gente del quartiere di come si viveva nelle case di ringhiera negli anni quaranta. Il suo occhio è vivo, lucido, non c’è nulla di stupidamente nostalgico nella sua voce e nella sua narrazione; parla di storie di uomini e di donne, dei loro giochi, dei loro dolori e delle risa che riempivano l’aria…
…ANTONIO DICE CHE SI PUO’ FARE. LUI E’ IL PRESIDENTE DEL CENTRO ANZIANI CHE STA NELLA CATTEDRALE CHE GLI E’ ALLE SPALLE: A CUI LUI VOLGE LE SPALLE COME L’ANGELUS NOVUS DI WALTER BENJAMIN. IN PROSPETTIVA SI VEDE IL FUNGO-OMBRELLO SULLA CUI SOMMITA’ SCORRE UN DISPLAY CHE RECITA “PROVA COLLAUDO”.

Massimo de Vita