La sede del Teatro Officina

L’identità di un teatro si definisce, almeno in parte, anche attraverso il luogo fisico che esso occupa, la fisionomia dei propri spazi interni ed esterni, la materia che lo compone.
Non è evidentemente la stessa cosa muoversi tra i corridoi di un antico palazzo nel centro della città o dentro le misure postmoderne di un’architettura hi-tech: perché diverse sono le vibrazioni che il luogo può trasmettere agli artisti, agli spettatori, a chi nel teatro lavora e vive e a chi ne fruisce.
Proprio come un essere umano, il teatro ha ed è un corpo. Con una propria storia e con un proprio rapporto con il contesto che lo circonda.
La sede del Teatro Officina non fa eccezione. Le note che seguono – tratte da una pubblicazione del Comune di Milano dedicata all’allora Zona “10”, oggi Zona “2” – sono una testimonianza della storia, architettonica e sociale, della sede del Teatro Officina.

​D. Terrazza, L. Gatti, G. Signorelli – Gorla: identità di un borgo milanese tra ‘800 e fascismo

Con l’approvazione, nel 1934, del Piano regolatore redatto dall’Ufficio tecnico municipale sotto la guida dell’ing. Cesare Albertini (…) si mettono in atto alcuni interventi. Tra i più significativi, la costruzione, nel 1939, del complesso di case di abitazione per famiglie numerose della Fondazione “Crespi Morbio”; un intervento che continua la tradizione milanese assistenziale e paternalistica, però con connotati insediativi coerenti alla città corporativa.
Nel caso di Gorla la categoria da privilegiare è quella delle “famiglie numerose”, cui è garantita oltre alla sicurezza di una casa anche l’integrazione di reddito costituita dall’esonero dal pagamento della pigione.
All’interno del complesso edilizio i residenti, che alloggiano in appartamenti composti da tre o quattro locali, possono usufruire di alcuni servizi di base: gli spazi a verde e i campi gioco; le docce, i bagni pubblici e le lavanderie nel seminterrato di tre palazzine per servizi; al piano rialzato delle stesse palazzine, i locali di ritrovo e ricreazione al coperto. Tutti servizi dal cui uso sono espressamente esclusi per regolamento condominiale i non residenti.
Il complesso si configura dunque come una cittadella chiusa su se stessa e isolata dal contesto: nel Dopoguerra la dotazione di servizi interni viene incrementata con una scuola materna e altre attrezzature che, previste ancora per un uso esclusivo dei residenti, consolideranno questo suo carattere.

in: Milano Zona dieci. Loreto Monza Padova, Comune di Milano, 1986, pp. 89-90

Testimonianza di Antonio Malinverno, operaio

«Il gruppo delle case popolari in via Sant’Elembardo, le case Crespi, costruite nel ’37 e abitate dal ’40, furono costruite già tenendo conto di possibili bombardamenti, con le cantine come rifugi. Ho abitato anche lì.
Erano case con grandi stanze, noi eravamo in sette e avevamo tre stanze. Per potervi abitare bisognava avere almeno cinque figli, e poi anche una grossa raccomandazione e la tessera del fascio. In quelle case c’erano solo quindici famiglie senza tessera, tra le quali la mia.
Mio padre sin dall’inizio del fascismo aveva avuto problemi, anche perché era un ballerino, un “tipetto”, e ha sempre odiato i fascisti, non tanto per politica, ma anche per questioni di donne. Lui, come mio nonno, aveva una bottega artigiana di calzolaio. Allora faceva più che altro i “sibrett”, le ciabatte, e andava a venderle fino a porta Ticinese. Era un amante della musica lirica, gli piaceva cantare e bere. A quel tempo la gente non pagava, c’era proprio miseria, e ha dovuto trovare un posto alla Pirelli. Vi è rimasto trentacinque anni. Allora per poter abitare alle case Crespi, anche se non avevamo la tessera del fascio, abbiamo avuto una grossa raccomandazione dal prete di famiglia dei Crespi, che era compaesano di mia madre, lecchese.
Questo gruppo di case era come un ghetto: per gli altri noi eravamo “quelli delle case numerose”. Addirittura noi andavamo a scuola di pomeriggio, mentre al mattino ci andavano quelli di Gorla, ed è per questo che durante il bombardamento i bambini rimasti sotto la scuola erano tutti di Gorla.
La discriminazione era così grande che addirittura qualcuno di Gorla di allora aveva detto che se il bombardamento fosse stato di pomeriggio, loro non se ne sarebbero nemmeno accorti».

in: Milano Zona dieci. Loreto Monza Padova, Comune di Milano, 1986, pp. 91-2